ANNO DELL’AFRICA: LA RIVINCITA DEI FIGLI LONTANI

di Zitounia Karim

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“farah umm, farah umma” la felicità di una madre, la gioia di una comunità; questa è la descrizione del fumettista giordano Naser Jafari riportata in una vignetta che pragmaticamente riporta l’insieme delle gioie appunto, del rispetto e della sacralità legati e racchiusi nell’avvenimento al quale lo stesso scrittore fa riferimento.

In particolare, la vignetta riprende ed evidenzia un momento di festeggiamento tra Sofiane Boufal, giocatore della nazionale marocchina, e la madre dopo il trionfo della propria nazionale ai quarti di finale contro il portogallo durante la competizione del mondiale di calcio svoltasi in Qatar.

Tale vittoria che porterà la squadra maghrebina, per la prima volta e contro ogni pronostico, al raggiungimento della fase semifinale della competizione.  Un momento così importante, un abbraccio così intimo, forte ed esemplare del legame madre-figlio, che diventa virale e riscuote apprezzamenti in ogni dove all’interno delle differenti piattaforme social e in molte testate giornalistiche.

Tali ambienti si sono resi in controparte, e in maniera surreale, teatro di sfogo di innumerevoli persone che hanno, nei loro differenti punti di vista, deciso di rivisitare e paragonare quanto di sopra rappresentato dall’autore ad una danza animalesca, ad una danza scimmiesca.

Paragone pericoloso e nocivo; quasi deludente, di cittadini, media ed esponenti che sull’onda di una pregressa ventata di protesta e visione di condanna si erano oramai resi protagonisti di grandi dibattiti sulla legittimità della competizione all’interno dello stesso suolo qatariota; considerato perlopiù da molti come paese ‘’incivile’’, baluardo dello sfruttamento dei più deboli, governo repressivo, tradizionalmente integralista; quasi pericoloso……Diverso……

Tale competizione cosa ci ha regalato, lasciato impresso, cosa ha portato o riportato alla luce?!

Le tantissime immagini, i video, i reels che ognuno di noi ha visto durante lo svolgimento della competizione e forse ancor più durante la sua organizzazione ci hanno mostrato, anche in maniera troppo velata i differenti lati di una stessa medaglia….che forse solo due non sono.

Se da un lato il trionfo della nazionale argentina sul piano calcistico, l’Iran con i suoi primi goal ad una competizione mondiale, il quasi ’exploit dell’Arabia saudita, il trionfo della nazionale marocchina con il raggiungimento della semifinale… sono aspetti che hanno consentito a molti ragazzi di varcare per la prima volta nella propria vita di confini nazionali, di coronare un sogno non così scontato per i più.

Dall’altro lato si è assistito ad un mese intero in cui il mondo, sull’onda dei gol di Mbappè e Messi, ha aperto un collegamento su un mondo nuovo, un mondo inusuale, fatto di usanze, tradizioni, credi e stili di vita molto differenti da quelli che per i più erano considerati sino ad all’ora normali.

Un mondo in cui centrale è la sacralità ed il rispetto dei valori della famiglia, la sacralità della donna, soprattutto se mamma, forte di pilastro della famiglia.

Il rispetto di un mondo verso i propri tifosi, perpetuato ad ogni singolo match, un ringraziamento delle proprie origini, la fierezza delle stesse, una coesione ed un legame che non conosce confini. La nazionale marocchina, un gruppo di ragazzi, caratterizzati da vicende di vita differenti, in ogni parte del mondo. Un gruppo di ragazzi nati e cresciuti in Marocco, nati e cresciuti all’estero, che forse mai e poi mai avrebbero immaginato di vivere quanto accaduto.

Ragazzi che ci hanno insegnato che nonostante la diaspora marocchina abbia isolato e separato le persone, le famiglie, non esiste confine che possa dividere un così grande sentimento di appartenenza ed un legame indissolubile che connette l’individuo con le proprie origini.

Hanno insegnato al mondo, ed ai giovani in particolare, a sognare in grande, a credere nei propri sogni e nelle proprie potenzialità. Hanno rivoluzionato l’immagine delle seconde generazioni marocchine in tutto il mondo. Come l’araba fenice che emerge dalle sue ceneri, il Marocco in rappresentanza di tutti i paesi del cosiddetto Terzo Mondo è riemerso, prestigioso, elegante e cinico; con una energia tale da coinvolgere e fondere sotto lo stesso spirito il mondo intero.

Rilevante è stato il ruolo delle mamme e delle donne marocchine durante il mondiale, ruolo questo che ha portato alla luce la centralità e il valore aggiunto di cui la donna marocchina dispone. La sacralità dell’essere donna concessa dalla religione musulmana si fonde con la cultura, caratteristica tipica della cultura araba, Negli stessi hadith è riportato: “il paradiso è sotto i talloni delle madri” (<< al jannatu tah’ta aqdâmil ummahâti >> BOUHDIBA 2005: 255) il rispetto, l’assistenza e la cura della madre sono valori sacri tali da aprire le porte del paradiso.

La storia ci ha insegnato che le interpretazioni condotte per lo più dal genere maschile delle sacre scritture e la forte adesione alle tradizioni risalenti a periodi antichissimi, hanno da sempre proscritto il ruolo della donna islamica “alla pari di un animale”.

Da un’attenta analisi condotta dalla scrittrice e ricercatrice marocchina Fatima Mernisi emerge che in realtà Muhammad (il profeta) nell’islam esaltava l’elemento femminile. I processi quindi di costruzione sociale dell’islam tradizionale hanno contribuito rafforzare e radicalizzare la stereotipizzazione della donna musulmana intesa come genere da sottomettere, visione questa che viene esaltata maggiormente dall’occidente, che viene esaltata sotto una prospettiva eurocentrica ed islamofoba.

Tale visione ha fatto sì che per le migranti mussulmane – o che provengono da un’area culturale mussulmana – il processo di ipersemplificazione possa essere consolidato, raffigurando la donna come soggetto oppresso e indifeso. Si può affermare che, con i primi processi migratori verso il continente europeo, questa visione viene accentuata maggiormente, l’arrivo del genere femminile nei processi migratori avviene durante la terza fase (secondo Bohning) fase in cui aumentano le donne provenienti per lo più mediante ricongiungimento famigliare e l’immigrazione inizia a stabilirsi. Sarà con l’arrivo delle donne migranti che il mondo occidentale avrà l’incontro con quella dimensione che fino a quel momento veniva poco sviluppata, ossia la religione.

Le migrazioni rappresentano, per gli individui protagonisti, esperienze determinanti, per lo più delle volte traumatiche, un momento che modifica e stravolge completamente l’esistenza del migrante. Il migrante, come ci ricorda il sociologo algerino Abdelma-lek Sayed, vive   intrappolato in quello che può essere definito il   paradosso   del “provvisorio che dura” e sperimenta la condizione della “doppia assenza” assenti parzialmente dalla famiglia, dai legami, dal paese e dalle proprie origini, e al contempo non presenti totalmente laddove si è presenti, una situazione di stallo continua da cui risulta difficile uscire. Sayad, ha portato alla luce un’altra questione rilevante, il fatto che tutte le “scienze delle migrazioni”, continuano ad assumere un punto di vista principalmente etnocentrico, perché si focalizzano sui problemi che le ondate emigratorie provocano nel paese di arrivo, senza tenere però conto del fatto che l’immigrazione sconvolge anche i paesi di partenza. L’immigrazione è un fenomeno complesso che necessita una classificazione più approfondita. Un fenomeno mutevole, in continua e veloce evoluzione, impossibile da fissare e definire una volta per sempre, continuamente rielaborato e socialmente costruito nell’interscambio con la società ricevente. Nel caso delle migranti donne avviene un secondo processo di omogeneizzazione, oltre alla percezione e classificazione del migrante proveniente da una società senza distinzioni sociali, la questione di genere si trasforma in un codice identificativo standard che definisce le speranze, le scelte possibili a prescindere da quelle che sono le qualità del singolo.

Figli della diaspora, e di due mondi, figli di città in evoluzione, figli di un sistema in continuo divenire, sono le seconde generazioni maghrebine, nati o cresciuti in una società che fatica a riconoscerli come tali, non hanno compiuto nessun viaggio, non hanno attraversato nessun mare per raggiungere il luogo in cui vivono. Siamo nati qui, su questa terra francese, con facce da arabi, in periferie abitate da arabi, con problemi da arabi e un avvenire da arabi. (…) ci troviamo qui con facce quasi umane, con un linguaggio quasi civile, con dei modi di fare quasi francesi; siamo qui a chiederci perché siamo qui e cosa ci stiamo a fare? da un libro di T. Ben Jelloun, Nadia (1996). Un fenomeno con caratteristiche sempre più complesse e articolate, tale da rendere difficile la sua misurazione. Essere di seconda generazione significa vivere in bilico tra due culture, due lingue e due tradizioni, apprezzare e valorizzare il meglio di ambedue, chi racchiude in sé una doppia cultura sviluppa maggiori capacità di adattamento, resilienza ossia la capacità di affrontare il rischio e di farsi carico del problema della doppia cultura. Questa caratteristica è rafforzata spesso dalla voglia di riscatto che caratterizza questi ragazzi e che dà loro la motivazione per affrontare le difficoltà e gli ostacoli che la vita li sottopone.

<La migrazione è per molti un’opportunità. Ma è anche una fatica. Fatica dell’identità tesa a trovare un equilibrio fra le origini e il futuro, fra la storia familiare e i progetti individuali, fra gli obblighi e i vincoli collettivi e i desideri personali per coloro che giungono qui da bambini o da ragazzi> CESTIM

Contesti differenti, che inevitabilmente portano l’individuo e il proprio nucleo a percorrere vie quali quelle della resistenza culturale, della doppia etnicità o ancora della marginalità o assimilazione.

Tale vie però non sono sempre nette, si assiste infatti negli ultimi anni a fenomeni ibridi tra le forme elencate del quale sodalizio è esempio la stessa compagine marocchina, mix di culture, lingue e tradizioni, che si intrecciano accumunate dal legame indissolubile e senza confini delle proprie origini, per le quali combattere e lottare oltremodo in ogni situazione partendo forse non dalla così banale questione calcistica.

Questo deve forse farci un po’ riflettere, un po’ riflettere cosa significhi essere parte di un qualcosa di più grande, senza coordinate di tempo e spazio, nel quale ognuno grazie alle proprie esperienze di vita riesce a porre un po’ di ricchezza, ma che comunque riesce tra le differenti individualità a fornire un unico e grande spunto di festa di gioia, aspetti dei quali proprio la vignetta di Sofiane Boufal e sua madre è la più genuina e forse iconica rappresentazione.

Note e Bibliografia:

Maurizio Ambrosini sociologia delle MIGRAZIONI terza edizione (Il Mulino, Bologna, 2020

  1. Tognetti Bordogna, Donne e percorsi migratori. Per una sociologia delle migrazioni, Milano, Franco Angeli, 2012, pag. 222

2/2008 Quaderni di Donne & Ricerca ISSN: 1827-5982 Arianna Santero Traiettorie di migrazione e apprendimento al femminile: madri marocchine a Torino

Luisa D’agostino, Cristina Di Giovanbattista e Monya Ferritti Cittadinanza, lavoro e partecipazione sociale: l’integrazione lavorativa delle seconde generazioni

A Fucecchi e A Nanni, “Il prisma dell’identità”, da Identità plurali, 2004, EMI: Bologna

Seconde generazioni: giovani tra identità sospesa, riforma della cittadinanza e opportunità negate (thebottomup.it)

Identità-e-percorsi.pdf (istat.it)

http://www.educational.rai.it/corsiformazione/intercultura/scaffale/approf/approf27.htm#1

Quale identità culturale per la seconda generazione (cestim.it)

Microsoft Word – D’Agostino_Di Giovanbattista_Ferritti_Ciitadinanza_Lavoro_Partecipazione_Sociale.docx (inapp.org)

Zitounia Karim

Zitounia Karim

Zitounia karim, 28 anni, nata in Marocco, mediatrice ed accompagnatrice interculturale, laureata in scienze politiche, laureanda in relazioni internazionali- studi euro mediterranei.