LA QUESTIONE PALESTINESE NON È SOLO “QUESTIONE DI CLASSE”: GHASSAN KANAFANI E LA MORTE DI DIO

di Samed Ismail

Tempo di lettura

10 Minuti

Group-73.png

Dopo aver varcato la soglia dell’opera di Kanafani con la Terra degli aranci tristi, vediamo un altro racconto scritto sempre negli anni ‘60. Il titolo è Metà del mondo, che si riconnette a quello della raccolta Alam laysa lana[1], che tradotto in italiano sarebbe “il mondo che non è nostro”.

‘Abd Al-Rahman, il protagonista, che sembra il tipico scemo del villaggio, «scrive molte lunge lettere che alla fine indirizza a sé stesso per poi leggere con attenzione». Una sera, durante uno di questi scambi epistolari, scrive:

“Iddio ci ha dato due occhi per vedere, ma, dal momento che il mondo non è più tra le mani di Dio, un solo occhio è più che sufficiente.”.

Subito dopo si cava un occhio con la penna.

Queste parole rimandano immediatamente al “tutto è permesso” de I fratelli Karamazov:

“Se, infatti, Dio infinito, non c’è, allora non c’è più  virtù  che tenga, né serve minimamente che ci sia.”[2].

Tuttavia Kanafani affronta l’assenza di Dio a partire dalle ripercussioni gnoseologiche, che solo in seconda battuta diventano morali. ‘Abd vede ora solo metà delle cose, o solo la sedia o chi ci sta seduto. Agli amici, che prima lo deridevano e adesso lo accusano di vedere solo mezza verità, di non riuscire a concepire due cose insieme, risponde:

“Quando voi parlate, io vi ascolto e vi credo, ma quando inizio a parlare io voi scomparite. Mentre ci siete voi non posso esserci io, e quando ci sono io, non è possibile che ci siate voi. […] Tutto il mondo deve essere ordinato: se esiste una qualsiasi cosa, è più che naturale che tutte le altre non esistano. […] Ma come fate voi a pensare a due cose contemporaneamente? In questo modo i pensieri non vi sembrano innaturali e noiosi? Soltanto uno di noi due, io o il tavolo, deve esistere nello stesso momento.”.

A furia di criticarlo gli scettici iniziano a dubitate e si chiedono: «sarà una malattia o una filosofia?».
L’interrogativo, che è anche l’interrogativo sul senso di questo apologo, rimane aperto. Il personaggio di ‘Abd Al-Rahman vuole rappresentare una malattia o una filosofia? Una risposta in un senso o nell’altro sembra vedere solo metà della questione, perciò occorre soffermarsi su questo aut-aut e capire in cosa consiste.

Dalla perdita del mondo che non è più nostro, dal ritirarsi di Dio e delle ideologie, non emerge solo uno scenario in cui “tutto è permesso”, ma anche uno scenario in cui “tutto è vero”, in cui non esiste più il principio di non contraddizione. Gli occhi sono il simbolo dei due poli della conoscenza, il vero e il falso. Nell’ottica di Dio questi due poli corrispondono a quelli della morale, il bene e il male. Non a caso nel racconto la madre di ‘Abd sostiene un’altra versione dell’incidente:

Egli si trovava in giardino dove si stava occupando di un albero di mele che aveva piantato qualche tempo prima. Quella mattina aveva notato un ramo secco e aveva cercato di strapparlo; il ramoscello, tuttavia, era ancora saldamente attaccato al giovane albero, e poiché il signor ‘Abd al-Rahman era una persona ostinata, continuò a tirare il ramo con furia. Questo si staccò improvvisamente e con violenza, e si conficcò nel suo occhio cavandoglielo.

L’albero di mele sembra un chiaro riferimento al mito di Adamo ed Eva. Se la mela ha provocato la caduta, il ramo, con la sanguinosa riparazione del peccato originale, conduce alla “risalita” verso «un modo di pensare che induce alla tranquillità».

 

La conoscenza del bene e del male ha fatto sì che l’uomo perdesse la verità, che poteva essere recuperata solo in Dio o nei suoi surrogati. Perciò il relativismo della modernità aveva senso solo se legato teleologicamente a un ideale superiore. Quando però la dimensione ideale viene meno questa prospettiva perde di senso. Il relativismo genera «una vita che appartiene a tutti» e in quanto tale «difficile». L’unilateralità, l’assolutismo, non importa in quale direzione, sono una contromisura adottata dall’uomo per ritrovare la “tranquillità”, l’equilibrio perduto. ‘Abd al-Rahman, che significa letteralmente “Servo del Misericordioso”,  non può essere libero dal suo Dio-padrone e conservare allo stesso tempo la complessità di visione. Il dogmatismo, nella sua tranquilla limitatezza, gli permette di dominare la vita, isolandolo dal mondo perduto:

Teneva le mani dietro la schiena, le auto gli sfrecciavano attorno come impazzite. Egli continuava tranquillamente a camminare come se uno dei due, o lui o le auto, non esistesse affatto.

Anche Ivan Karamazov compie una simile “limitazione gnoseologica”:

“Posto che Dio esista, e che abbia realmente creato la terra, questa, come sappiamo, è stata creata secondo la geometria euclidea, e l’intelletto umano è stato creato idoneo soltanto a concepire uno spazio a due dimensioni. Vi sono stati, invece, e vi sono anche ora, geometri e filosofi, e anzi fra i più grandi, i quali dubitano che tutta la natura, o più ampiamente tutto l’universo, sia stato creato secondo la geometria euclidea, e s’avventurano perfino a supporre che due linee parallele, che secondo Euclide non possono a nessun punto incontrarsi sulla terra, potrebbero anche incontrarsi prima o dopo l’infinito. E così, cuore mio, io ho tratta la conclusione che, se nemmeno questo mi riesce intelligibile, come potrei mai innalzarmi al concetto di Dio? Umilmente riconosco che in me non c’è nessuna capacità di risolvere problemi simili: in me c’è una mente euclidea terrestre, e come potrei pretendere di ragionare su ciò che non è di questo mondo?”[3].

Tutto ciò che si trova al di fuori della materialità dello spazio euclideo è inconoscibile. L’aldilà è al di fuori della portata, possiamo comprendere solo la “terra”. Quello di ‘Abd è il passo successivo, ovvero l’ulteriore riduzione delle dimensioni, da due a una, il ripiegamento nello spazio interiore, visto che l’ombra del dubbio ha raggiunto anche il mondo euclideo. Le linee parallele ci riportano al problema che avevamo visto nell’articolo precedente:

“Mi sembra che la mia vita, la nostra vita, sia una linea retta che procede tranquilla e sottomessa, accanto alla linea della mia causa… ma le due linee sono parallele e non si incontrano.”[4].

Come si può sfuggire alla trappola del relativismo, che genera linee che non si incontrano mai?  Il dogmatismo unilaterale, che ignora le altre linee per seguirne solo una, può essere oggi una risposta in un certo senso coraggiosa, ma non è soddisfacente. È una fuga che ci porta a riflettere sul senso delle dimensioni, che ci porta fuori dal migliore dei mondi possibili, ma come ogni fuga è destinata a fallire.  Entrambe le soluzioni poggiano sullo stesso assunto: Dio è morto, le ideologie sono morte.
Quello proposto da Kanafani non è né un paradosso letterario, né una divagazione teologica ma un enigma politico. Dostoevskij ci spiega perché un marxista deve interessarsi a Dio:

Il socialismo non è solo la questione del lavoro, o del cosiddetto quarto stato, ma è, eminentemente, la questione dell’ateismo, la questione della moderna incarnazione dell’ateismo, la questione della Torre di Babele, da edificare appunto senza Dio, e non per raggiungere dalla terra il cielo, ma per portar giù il cielo sulla terra[5].

Il dramma della costruzione della Torre di Babele senza Dio, del tentativo di portare il cielo sulla terra, è rappresentato da Kanafani in un’opera teatrale, La Porta[6], dove si approfondirà la riflessione sul rapporto con Dio.

Note:

[1] G. Kanafani, Se tu fossi un Cavallo, Jouvence.

[2] F. Dostoevskij, I Fratelli Karamazov, Einaudi, p. 829.

[3] F. Dostoevskij, I Fratelli Karamazov, Einaudi, p. 314.

[4] G. Kanafani, La terra degli aranci tristi e altri racconti, a cura dell’Associazione Sardegna Palestina, p. 21.

[5] F. Dostoevskij, I Fratelli Karamazov, Einaudi, p. 36.

[6] In Palestina dimensione teatro, Rispostes, p. 17.

Samed Ismail

Samed Ismail

25 anni, nato a Cagliari, membro dell'Associazione Sardegna-Palestina e dei Giovani Palestinesi d'Italia. Laureato in Filosofa e iscritto alla Magistrale di Storia e Società presso l'Università di Cagliari.