REPORT: MONUMENTS AND MONUMENTALITY IN THE MEDITERRANEAN PREHISTORY: PERSPECTIVES FROM SARDINIA

di Luca Lai

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Lo scorso 8 novembre si è svolto un interessante incontro, sponsorizzato dal Magdalene College e dal McDonald Institute for Archaeological Research dell’Università di Cambridge (Regno Unito), avente come titolo ‘Monuments and Monumentality in the Mediterranean prehistory: perspectives from Sardinia’, che può considerarsi una prosecuzione ideale delle discussioni dell’incontro Gardening Times, tenutosi dieci anni fa, che mirava a favorire la discussione di questioni collegate ai monumenti nel senso etimologico del termine, ovvero di luoghi di memoria.

L’incontro, con un limitato numero di relatori, era disponibile per la partecipazione via Zoom anche se effettivamente destinato a un pubblico di addetti ai lavori. Le presentazioni hanno riguardato vari approcci di ricerca innovativi e alcuni interventi più generali e sintetici. Tra i primi, si segnalano approcci che mirano a indagare la lunga durata dei nuraghi nel paesaggio, e a contestualizzare la monumentalità nuragica nello scenario climatico e ambientale tramite lo studio geomorfologico, lavori in corso presentati dagli organizzatori J. Gustafson e G.B. Marras (Università di Cambridge).

Un cluster di ricerca era rappresentato da M. Perra, D. Schirru e E. Holt, coinvolti a vario titolo nella gestione del progetto Pran’e Siddi, che da anni porta avanti ricognizione, documentazione e scavo nell’altopiano omonimo della Marmilla. Mentre Perra (ricercatore indipendente) ha presentato una sintesi sulle conoscenze del sistema di insediamento umano in età nuragica al Nuraghe Arrubiu di Orroli – un altro progetto da lui diretto – D. Schirru (ricercatore indipendente) ha presentato i risultati della sua ricerca sugli schemi di insediamento nella Giara di Gesturi, applicando modelli statistici per testare diverse ipotesi sulla scelta della posizione per la costruzione dei nuraghi, con vari obiettivi tra cui l’accessibilità e la visibilità. Emerge un quadro complesso che sembra escludere semplicistiche interpretazioni di controllo visuale/ difensivo del territorio in chiave militaristica come una buona fetta delle narrative tradizionali legate al ‘padre fondatore’ Lilliu. Holt (Statistical Research Inc.), che co-dirige con Perra lo scavo ormai pluriennale di Conca ‘e sa Cresia di Siddi nonché la ricognizione dei nuraghi situati sul ciglio dell’altipiano; tra gli spunti interessanti del suo intervento, l’analisi del problema della risorsa idrica e del suo ruolo nella scelta del luogo dove edificare un nuraghe e nella storia successiva del suo utilizzo. Interessante novità che emerge è la presenza di strutture probabilmente legate alla gestione dell’acqua, con le conseguenti ipotesi al vaglio relative alle dinamiche di flusso nel suolo e sottosuolo, e i possibili sistemi di raccolta e gestione.

Il secondo blocco di relatori ha ripercorso i risultati delle indagini del progetto di studio dell’insediamento nuragico nell’Isola di Sant’Antioco, tramite scavo e rilevazione e analisi spaziale delle relazioni tra monumenti e geomorfologia e orografia, portato avanti dall’Università Ruhr di Bochum (Germania), e presentato da C. Van Rudel, T. Klingenberg e M. Usadel. Tra i numerosi punti d’interesse indagati dai relatori la relazione dei nuraghi con il mare alla luce della ricostruzione di paesaggi antichi, e le caratteristiche del sistema insediativo nell’area di Grutt’i Aqua/ valle di Canai, esaminati in modo sistemico, come spiegato da Van Rudel. Una prospettiva ancora ancora rara da cui osservare il fenomeno nuraghe è quello fenomenologico, applicato da T. Klingenberg, che documenta con strumenti appositi la propagazione del suono intorno al monumento e quindi la connettività con il paesaggio circostante tramite la voce (o il fischio!), mentre Usadel ha affrontato con approcci anche sperimentali il problema dell’approvvigionamento di argilla per la fabbricazione di ceramica e delle complessità del reperire le fonti esatte nel contesto di un’area particolarmente ricca di sedimenti argillosi.

La sessione pomeridiana ha incluso due interventi di G. Robin e K. Lilley legati al lavoro dell’Università di Edimburgo sulle domus de janas. Robin ha presentato i progressi nelle campagne di documentazione delle relazioni tra tombe e territorio nella regione delle celebri necropoli di Mesu ‘e Montes. Tra le fondamentali scoperte, la rara identificazione dell’insediamento presumibilmente legato alla necropoli, con resti di strutture abitative sull’altopiano di Monte Mannu, il quale fungeva anche da riferimento visuale verso cui sembra orientata la maggioranza delle sepolture scavate nella roccia. Interessante anche l’idea alla base dello studio di Lilley, la cui ricerca dottorale – ancora in corso – utilizza la distribuzione spaziale delle domus de janas decorate per rintracciare quantitativamente la possibilità di direttrici di diffusione dei motivi decorativi come marker di specifiche identità.

Gli ultimi interventi erano invece condotti da figure accademiche ormai affermate, A. Depalmas (Università di Sassari) e P. Van Dommelen (Brown University). Depalmas ha ripercorso i punti fondamentali della traiettoria evolutiva della civiltà nuragica con accento sull’architettura e sistemi insediativi, soffermandosi sulle diverse tipologie costruttive come esemplari delle differenze sociali e politiche delle diverse ere – sottolineando ancora una volta la dipendenza diffusa da terminologie militaristiche per illustrare aspetti del nuraghe che chiaramente aveva ruoli e funzioni più complesse. Van Dommelen ha invece concentrato la sua riflessione sui monumenti come ancore della memoria che travalicano le epoche e vengono non solo riutilizzati ma vissuti in modi differenti con trasformazioni e nuove destinazioni d’uso, focalizzando l’attenzione sul sito di S’Urachi di San Vero Milis, indagato da anni insieme ad A. Stiglitz direttore del Museo Civico locale. Tra le interessanti novità si colloca la datazione del cosiddetto antemurale all’età del Ferro, contro la comune cronologia che li vede nell’ultima fase di espansione dei nuraghi, prima della cesura del Bronzo Finale; su questo, lo stesso Van Dommelen sottolinea però: S’Urachi potrebbe essere un’eccezione, non significa che la tendenza generale sia in discussione sulla base dell’unico sito. Interessante anche l’ipotesi di un rapporto particolare tra il sito di S’Urachi e Mont’e Prama, anche se la storia dell’utilizzo della necropoli inizia chiaramente prima delle fasi di maggiore vivacità documentate a S’Urachi.

Proficuo infine l’intervento del discussant, A. Vanzetti (Università di Roma La Sapienza), nonché dei diversi interventi del pubblico, tra cui S. Stoddart (Cambridge University) e soprattutto F. Di Gennaro (Ministero Cultura, tra gli altri ruoli ex Soprintendente a Sassari), che tra le numerose osservazioni ha espresso la sua preferenza per terminologie più tecniche legate alla cultura materiale (età del bronzo, età del ferro etc.) piuttosto che l’etichetta ‘Nuragico’ che attraversa periodi di profondi cambiamenti e finisce per applicarsi a quasi un millennio. Vanzetti, dal canto suo, ha contribuito alla riflessione sottolineando la sostanziale assenza di analisi approfondite sia delle dinamiche di organizzazione sociale, ma anche, nonostante diversi approcci che legano il paesaggio e la geomorfologia alla presenza umana, del fattore climatico nelle sintesi narrative sui cambiamenti attraversati dall’esperienza culturale nuragica – cosa che invece si sta rivelando fondamentale altrove nella lettura delle vicende sociali mediterranee. Ha inoltre incoraggiato metodi imperniati sul testare ipotesi definite e non generiche, pur mettendo in guardia contro il presumere che il paesaggio umano osservabile oggi sia completo, e contro il fatto di considerarlo sincronico, mentre è chiaro che diversi elementi risalgono a diverse età. Piuttosto acuta anche l’osservazione che la Sardegna, a causa della sua unicità legata all’aspetto monumentale, è stata soprattutto analizzata in questo senso, mentre soltanto da poco si fanno strada prospettive che sono applicate in modo più generale altrove, dove l’aspetto edilizio è meno prorompente; per cui, ha concluso, ci si dovrebbe chiedere forse se sia ancora appropriato mettere la monumentalità al centro delle discussioni sulla Sardegna preistorica.

Su tale unicità, Di Gennaro ha sottolineato come la Sardegna appaia sostanzialmente slegata dalle trasformazioni dell’area tirrenica durante l’età del bronzo, inclusa l’apparente assenza di segni di conflittualità e di preoccupazioni difensive (definita ‘pax sarda’ con un sorriso), nonostante i legami oltremarini orientali fino a Cipro, passando per la Sicilia e Creta. Non è andato oltre un breve scambio di battute tra Vanzetti e Van Dommelen il riferimento al dibattito ripreso di recente da alcuni articoli scientifici, relativo alla natura del rapporto tra Cipro e la Sardegna, tra minimalisti da un lato e assertori di un ruolo privilegiato, e di una presenza profonda e intensa della Sardegna in oriente, dall’altro. Non si è parlato invece di questioni più esplicitamente coloniali, decoloniali o postcoloniali, su cui tanto ha elaborato Van Dommelen, che ha accennato alla cosa nel suo intervento alludendo all’’incontro’ tra levantini e indigeni e ai cambiamenti nella vita quotidiana avvenuti nei siti di contatto, con nuovi modi di portare avanti attività quotidiane, quali cucinare e fare la ceramica.

Come mia osservazione aggiuntiva, personale, un elemento toccato in modo fuggevole tranne che da Depalmas è stato anche quello delle sepolture, spesso sottostimate nella definizione delle comunità nuragiche di villaggio/ nuraghe, per le quali si ripropone in modo pesante l’osservazione di Vanzetti sul presumere la completezza di un paesaggio, laddove invece appare chiara la scomparsa preferenziale delle sepolture a camera. Questa scomparsa sbilancia la nostra percezione di ciò che Emma Blake ha definito ‘Nuragic locale’, ovvero il binomio nuraghe-tomba, forse perfino da postulare come canonico, cosa che quindi dovrebbe spingerci, ogni volta che siamo di fronte a uno o più nuraghi senza tomba, a chiedercene le ragioni.

Vanzetti si chiede anche se non possano occorrere dei modelli specifici (organizzativi e sociali) da applicare al caso sardo considerato ‘unico’. Pur senza entrare nell’argomento né entrando in dettagli, in diversi interventi è emerso qualche riferimento fugace alla lettura della società nuragica come in qualche misura e in qualche modo gerarchica, che risale a Lilliu e pur con diverse declinazioni è ancora maggioritaria. A questo proposito, stupisce che non sia venuta a galla l’interpretazione ‘eretica’ che Araque Gonzalez (Università di Friburgo) propone ormai da anni, con la quale invece giunge a definire la società nuragica come acefala e anarchica, sottolineando la cooperazione piuttosto che la conflittualità.

La conferenza è certamente stata un’ottima occasione per rimanere aggiornati su alcuni nuovi dati e studi relativi alla Sardegna preistorica e protostorica, e per riflettere su problemi e fenomeni particolari a specifiche aree, ma anche più generali, e che toccano caratteristiche che hanno contraddistinto epoche intere. I monumenti del passato hanno lasciato un marchio indelebile, che consente di vedere nella Sardegna un eccezionale esempio di luogo della memoria, che abbraccia virtualmente l’intera isola. Agli archeologi e ai sardi di oggi il compito, talvolta arduo, di ripescare dall’inconscio queste memorie, decodificarle anche al netto delle narrative dominanti, e ascoltare con mente aperta cosa possano raccontarci e spiegarci dei tempi passati, e di quelli attuali e futuri.

Luca Lai

Luca Lai

Luca Lai is an archaeologist specializing in stable isotopes, Western Mediterranean prehistory and particularly Sardinia, and human-environment interactions. He has conducted research on paleodiet and paleoclimate in prehistoric Sardinia from the 5th through the 1st millennium BC, focusing on long-term continuity and change, and on differential access to resources based on social status and gender. He grew up in Sardinia, and lived also in Ireland, the US, England, and Lesotho. He has worked on favoring the dissemination of archaeology, culture and current events awareness with special attention to the perspectives of minorities, also with political engagement in Sardinian independentist initiatives.

Among his side research interests are medieval through contemporary archival studies, the archaeology of American pre-contact complex societies, obsidian provenance studies, Ancient Mediterranean cultures and languages, and Sardinian linguistics and toponomastics.