DECOSTRUIRE IL MITO DI SERGIO ATZENI PER RENDERE GIUSTIZIA A SERGIO ATZENI

di Omar Onnis

Tempo di lettura

14 Minuti

Group-73.png

Tra la seconda metà degli anni Novanta dello scorso secolo e i primi anni Dieci di questo, Sergio Atzeni è diventato un oggetto di culto e un riferimento ideale e persino politico, al di là e spesso a dispetto della sua opera letteraria. È un fenomeno interessante da indagare, perché ci dice tanto delle nostre dinamiche culturali contemporanee.

In particolare, il libro di Atzeni che ne ha decretato il successo è stato Passavamo sulla terra leggeri. Un successo postumo, purtroppo per lo scrittore di Capoterra. E anche un successo costruitosi attraverso vie tutte sue, soprattutto grazie al passaparola e al fatto che alla prima edizione Mondadori siano seguite quelle del Maestrale, della Ilisso e ora quella di Sellerio, moltiplicando così la presenza e permanenza del testo in libreria, la sua reperibilità materiale.

Oggi l’impatto di Atzeni e di quel romanzo sono inferiori rispetto a un quarto di secolo fa. È un fatto di cicli generazionali, di gusti che cambiano, di aspettative sui contenuti che rispondono a logiche diverse. Per questo è difficile spiegare la forza con cui la scoperta della sua opera investì soprattutto la generazione tra i venti e i quarant’anni dal tardo 1995 in poi.

Personalmente ho amato PSTL, ma non lo considero il capolavoro di Atzeni. Nella mia classifica personale in cima c’è Bellas Mariposas, romanzo di una profondità e di una ricchezza tecnica e contenutistica enormi. In generale, non si può non considerare l’intera opera atzeniana un patrimonio di notevole spessore, nello scenario letterario sardo contemporaneo (e non solo in quello sardo). Resta chiaramente la sensazione di incompiutezza dovuta alla sua prematura scomparsa. E forse questo avvenimento tragico, questa interruzione repentina, ha contribuito a generare equivoci e travisamenti a cui nessuno ha potuto dare risposte adeguate. Cosa che non sarebbe successa con l’autore ancora in vita. Non perché chi legge non abbia comunque la libertà di appropriarsi di ciò che legge e darne l’interpretazione che preferisce, ma perché l’assenza dell’autore smonta la dialettica tra chi produce e chi fruisce del contenuto letterario. E impedisce di vedere quale sarebbe stata la successiva parabola creativa e intellettuale dell’autore.

Passavamo sulla terra leggeri (d’ora in poi, PSTL) è diventato abbastanza presto non solo una lettura da consigliare alle proprie amicizie, ma anche una sorta di manifesto politico. Intorno alla mitologia creata da Atzeni è montato una sorta di processo di auto-coscienza collettiva, forse solo generazionale e socialmente circoscritto, ma comunque ampio, che ha agito anche sul piano extra-letterario. D’altro canto, il difficile inquadramento dell’opera atzeniana dentro i canoni della letteratura italiana e anche di quella sarda più nota ha generato un fenomeno di misconoscimento non spiegabile certo con la sua scarsa qualità. In altri casi, quando la si è dovuta per forza definire e collocare, sono state chiamate in causa cornici interpretative poco convincenti, che ne riducono sensibilmente la portata estetica e simbolica. In questa tipologia di analisi emerge una sorta di timore, quasi che Atzeni e PSTL in particolare costituissero (costituiscano) una minaccia. Una minaccia a un ordine del discorso relativo alla Sardegna che non deve mai allontanarsi dal solco tracciato dalla “ragion coloniale” e basato sul nostro mito identitario subalterno.

Su tutto questo occorrerebbe fare una riflessione approfondita e provare a decostruire tale composito processo di acquisizione dell’opera, con i suoi vari esiti,  per svelarne l’inappropriatezza, evidenziare le mistificazioni a cui può condurre e  restituire all’opera di Atzeni la sua giusta collocazione e un senso più autentico.

Sulla pagina Facebook dell’editore Sellerio (post del 17 gennaio 2023) si legge:

 

Il mistero delle origini del popolo sardo in un racconto intenso e seducente, a tratti epico, che abbraccia miti e leggende di una terra aspra e selvaggia. Un viaggio incantato e fiabesco disegnato dalla fantasia di uno dei più grandi cantori della Sardegna.

L’ambizione di Sergio Atzeni, amatissimo scrittore morto ancora giovane (e antropologo, storico delle culture, aedo, cacciatore di storie inattuali), era di raccontare la sua Isola e la sua storia millenaria, non attraverso un romanzo storico, ma in una narrazione che fosse eco della sua storia, come appunto nella tradizione orale. Così questo suo ultimo libro, “Passavamo sulla terra leggeri”, ha la singolarità di essere una storia della autocoscienza di un popolo, che “ha la presa di un romanzo d’avventura”, come scrive Marcello Fois nell’Introduzione.

 

Nell’introduzione di Marcello Fois si può leggere anche:

 

La vicenda generale, «dei millenni di isolamento tra bronzetti e nuraghe», è tramandata intessendola senza sosta di peripezie di donne uomini ed eroi, di cronache di fatti quotidiani, di passaggi di stranieri e stranezze, di battesimi di luoghi e di oggetti, di nascite di riti e arti, di cose memorabili e miti suggestivi. Un’età felice culminante nell’era dei «giudici», i sovrani ereditari – fin dal primo di essi, una donna – dell’autonomia della Sardegna caratterizzata da forme di partecipazione popolare. E una data segna il termine della storia maggiore e delle vicissitudini qui raccontate: il 1409, la fine dell’indipendenza dell’Isola e la conquista aragonese.

 

Già in questi due brevi testi si possono riconoscere i principali bias interpretativi a cui, fin da subito, il romanzo è stato sottoposto.

Uno, fondamentale, è l’attribuzione a PSTL un’attinenza con la storiografia che il libro non ha affatto. Nel romanzo non c’è alcuna rivelazione sul “mistero delle origini del popolo sardo”, non c’è una rilettura epica della storia sarda né una sua “eco”. Il contenuto storico di questo libro è praticamente nullo. La stessa pretesa che la storia dei S’ard, ossia della gente sarda, almeno la storia che vale la pena di raccontare e conoscere, sia finita nel 1409 è una forzatura irricevibile dal punto di vista della correttezza storiografica e ammissibile solo in termini di finzione.

Altrettanto discutibile è l’assunzione della storia sarda dentro le categorie stereotipate dell’”isolamento millenario”, delle “dominazioni” e della “costante resistenziale”. Atzeni interviene su tali cornici ideologiche, di per sé profondamente deteriori, facendole proprie ma al contempo, grazie al suo talento, sublimandole in un risultato letterario efficace, che ne oltrepassa il significato, arrivando a rovesciarlo. Tuttavia la loro fondatezza teorica e storica è come minimo dubbia. A lui si può perdonare; a chi presenta il suo lavoro oggi senza tenere conto di queste implicazioni, no.

All’interpretazione “debole” di PSTL – una sorta di operazione di disinnesco – corrisponde specularmente la ricezione spontanea di chi ha letto il romanzo e ne ha tratto connotazioni e rimandi di natura identitaria e politica. Esito comprensibile, in una popolazione culturalmente subalternizzata e in larga misura deprivata di una conoscenza storica su se stessa adeguata e adeguatamente diffusa. Il fatto che moltissime persone sarde abbiano attinto a PSTL come a una sorta di rivelazione, come strumento di riappropriazione della propria storia negata, non deve fare velo sul fatto che si tratti di un enorme equivoco. Che poi da tale riappropriazione sia addirittura derivata un’immaginazione politica nuova è un fatto non condannabile di suo, ma che va precisato, contestualizzato e ridimensionato.

Sulle intenzioni di Sergio Atzeni riguardo a questo romanzo si possono fare solo speculazioni. Essendo un intellettuale dotato, con esperienza di militanza politica, sarebbe ingenuo da parte nostra e ingeneroso verso di lui negare che possa esserci stata *anche* un’intenzione politica, nella spinta morale e creativa che lo spinse a scriverlo. Da qui a farne un manifesto politico vero e proprio però ce ne corre. Almeno quanto ne corre da qui a farne un testo storiografico.

La nostalgia è una delle cifre principali di PSTL, ma è giocata su un piano immaginario e mitologico. Il passato ricreato da Atzeni non è quello di un tempo storico dimenticato, di cui riappropriarsi, ma quello di cui gli sarebbe piaciuto essere erede nel suo presente. Una *sua* Sardegna immaginaria, contraltare di un’attualità deprimente, di cui Atzeni coglieva – perché ne aveva i mezzi – non solo i guasti congiunturali ma anche i problemi strutturali. In PSTL, così come in altri lavori di Atzeni (pensiamo a Bellas Mariposas e all’apparizione della “Coga de Arbaré” sotto forma di deus ex machina), non c’è un programma politico, nemmeno camuffato da mito. C’è una fuga nel territorio della fantasia, che è quasi una resa davanti a una realtà difficile da accettare.

Il momento in cui PSTL fu scritto era un momento di passaggio di difficile lettura. Il post-Guerra fredda, a dispetto della panglossiana narrazione egemonica, aveva mostrato fin da subito il suo potenziale minaccioso. La prima guerra del Golfo e il conflitto nell’ex Jugoslavia avevano mostrato fin da subito l’illusorietà del trionfo del liberismo come fonte di progresso e democrazia universale e confutato nei fatti la tesi sulla “fine della storia”. Sergio Atzeni aveva la sensibilità intellettuale e l’esperienza politica per capirlo. In mancanza di una prospettiva politica nuova, costruirsi un mondo mitico in cui rifugiarsi e ritrovare un senso alle cose era un espediente comprensibile. La nostalgia, più che al passato, era dunque rivolta a un presente degno di quel mito, e che però non c’era, e a un futuro che al momento non aveva alcuna base promettente su cui poggiare.

Se si vuole trovare un senso politico in PSTL e nell’opera complessiva di Atzeni, credo che si possa invece reperire nella sua visione meticcia e post-nazionalista, nella  critica alle forme di organizzazione sociale e politica che stavano uscendo vincenti dal XX secolo, piuttosto che in una presunta, definita e chiaramente squadernata prospettiva ideologica.

La definizione data da Fabio Stassi di Sergio Atzeni come scrittore “creolo”, benché susciti mugugni e aperti rifiuti, non è una diminutio, se la si assume nel senso più ricco e profondo, e non è nemmeno una mancanza di riconoscimento per la sua sardità. Che Atzeni rivendicava, ma non in termini esclusivi e non senza tenere conto di tutte le stratificazioni e di tutte le ibridazioni costitutive di quella che comunemente viene chiamata “identità sarda”. La definizione di “scrittore creolo” credo invece che colga uno degli aspetti principali della produzione atzeniana. Il meticciato e l’ibridazione in Atzeni richiamano inevitabilmente le teorizzazioni di Homi K. Bhabha, in particolare la teoria del “Terzo spazio”. Atzeni dunque potrebbe rappresentare in letteratura il frutto creativo dell’incontro/scontro tra i due ambiti culturali sardo e italiano, con la loro relazione asimmetrica ma comunque non necessariamente sterile. Non è l’unico esempio, nella letteratura sarda contemporanea, ma forse è il più compiuto ed efficace. Sicuramente, nei suoi anni lo fu.

Scrostare Sergio Atzeni e PSTL dalle interpretazioni troppo legate all’attualità non ne attenua l’impatto estetico ed emotivo, né le connotazioni emancipative. Trarne ispirazione per dotarsi di una visione politica sul nostro presente e il nostro futuro è legittimo, ma pericoloso, come ogni proposta politica basata su un qualche culto delle origini. Dubito che Atzeni ne sarebbe stato contento e prima ancora convinto. In ogni caso, una tale pretesa rischia di zavorrare l’opera di significati e aspettative improprie. Allo stesso modo, assumere PSTL come testo rivelatore di una storia “nascosta”, di cui dobbiamo riappropriarci, è ugualmente un torto all’opera stessa e anche al nostro genuino interesse storico. Che può e deve essere soddisfatto da altri strumenti e da altri contenuti. In caso contrario, la scoperta che la storia raccontata in PSTL non coincide affatto con la *storia* vera, documentata e ricostruita dalla storiografia, rischia di sminuire il godimento intellettuale che se ne può trarre. E sarebbe un peccato.

Omar Onnis

Omar Onnis

ricercatore indipendente, storico, autore di saggistica e narrativa, divulgatore storico. Autore di Tutto quello che sai sulla Sardegna è falso (Arkaidia, 2013), ha pubblicato di recente Altri traguardi. Premesse, cronaca e analisi della campagna politica di Sardegna possibile 2014 (Catartica, 2022).