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Nani sulle spalle dei giganti. Qualche considerazione su storia e statue.

di Cristian Perra

Foto di trolvag, sotto licenza Creative Commons

In Sull’utilità e il danno della storia per la vita (1874), seconda delle Considerazioni inattuali, Friedrich Nietzsche compie una interessante distinzione riguardante le forme attraverso le quali si presenta lo studio della storia. La distingue in monumentale, antiquaria e critica, descrivendo la fenomenologia di queste tre forme dell’analisi storica. Sembra che oggi la seconda inattuale sia molto più che attuale, in giorni nei quali si sta sviluppando un dibattito riguardante cosa sia o non sia storia e su quali siano i conti aperti con essa. La storia conservativa, antiquaria, si mostra in questo momento come nient’altro che un dispositivo di potere. Dire infatti che siamo sempre e comunque nani sulle spalle dei giganti come nella massima attribuita a Bernardo di Chartres, delegittima il presente e rende immobile ogni tipo di soggettività volta al cambiamento sociale e rende dipendenti dalla storia come ci è sempre stata raccontata. Rende la storia esclusivamente l’oggetto di topi di biblioteca, un qualcosa di morto, su cui fare un epitaffio.  

Scrive Nietzsche, infatti che «la storia antiquaria degenera nel momento stesso in cui la fresca vita del presente non la anima e ravviva più. Ora la pietà si inaridisce, l’abitudine erudita continua ad esistere senza la pietà e gira in modo egoistico e compiaciuto intorno al proprio centro. Allora si osserva il ripugnante spettacolo di una cieca furia collezionistica, di una raccolta incessante di tutto ciò che è una volta esistito. L’uomo si rinchiude nel tanfo; riesce ad abbassare con la maniera antiquaria anche un talento più significativo, un bisogno più nobile a un’insaziabile curiosità o meglio a un’avidità di cose vecchie e di tutto; spesso scende così in basso, che alla fine è contento di ogni cibo e mangia di gusto anche la polvere delle quisquilie bibliografiche».[1]

Si tratta di un destino che in particolare in Italia sta avendo il dibattito Storico per quanto riguarda le azioni politiche emergenti dai movimenti chi sono nati dopo l’uccisione da parte della polizia. a Minneapolis, di George Floyd. Non si tratta solo di giustificare o condannare gli atti (legittimi) di un corteo che decide di buttare giù una statua o di singoli che decidono di imbrattarla, ma di comprendere come si sviluppi, a partire da essi, un dibattito pacificante volto a neutralizzare alla base ogni tipo di conflitto sociale e culturale.

Per una risemantizzazione dei nessi storici

Il movimento Black lives matters, infatti, ha messo in luce come l’oggetto della storia non si dia di per sé, ma sì inserisca all’interno di un continuo processo di risemantizzazione dei simboli e dei nessi storici, i quali attraverso l’agire di diverse soggettività, mutano di significato in base. Pensiamo alla statua di Edward Colston a Bristol. Essa, infatti, è andata nel corso del tempo a cambiare più volte il suo apporto simbolico, e oggi, con la sua rimozione ne ha assunto uno del tutto nuovo: da un tributo a un mercante e presunto filantropo, al fare i conti con un passato coloniale e schiavista, alla testimonianza dell’insorgenza di nuove soggettività subalterne e del loro spirito di scissione.

Bisognerebbe chiedersi per capire al meglio l’articolazione di questo discorso pacificante da chi e da quali privilegi vengano le critiche a questo tipo di azioni. Mettere in dubbio il passato significa, infatti, mettere in discussione alla base i rapporti di forza all’interno della nostra società. Significa spostare lo sguardo dalla parte delle forze egemoniche a quello dei subalterni, su quella storia disgregata ed episodica dentro la quale le contraddizioni vivono ed esplodono.

Mettere in dubbio la storia monumentale significa mettere in discussione attraverso il percorso genealogico il primato dell’uomo bianco, cis, etero, ricco e la società patriarcale, capitalistica e coloniale nella quale viviamo. Non è un caso, infatti, che al movimento BLM si sono subito uniti in quello che Antonio Gramsci avrebbe chiamato un vero e proprio blocco storico i movimenti femministi e LGBTQ+, mostrando non solo la loro solidarietà, ma l’essere parte di un’unica compagine di subalterne, di subalterni e di altre soggettività che non si riconoscono nei generi maschile e femminile. Allo stesso modo non è un caso che questi movimenti siano per lo più giovanili se consideriamo il peso che ha la gerontocrazia nella società nella quale viviamo nella quale i giovani si trovano ad essere sempre più marginalizzati e che è frutto dei rapporti di dominio patriarcali, capitalistici e coloniali.      

È particolarmente interessante notare, inoltre, come la critica a questi movimenti riveli, non tanto nel discorso pubblico quanto in quello specialistico e intellettuale, due diversi sentimenti: da un lato un bisogno ontologico, un bisogno di esistere da parte di chi si occupa della scrittura e sistematizzazione della storia, quindi dell’atto della storiografia; dall’altra, una concezione esclusivamente conservativa e cimiteriale della storia.

Bisogno ontologico e cultura conservativa

Per quanto riguarda il bisogno ontologico, in un momento nel quale gli storici si leccano ancora le ferite per la tanto decretata fine della storia, attaccarsi al proprio ruolo di mediatori con il passato, con un procedimento molto simile al ruolo di mediazione del sacerdote cristiano con la divinità, fa sì che la studiosa o lo studioso, in una società dove gli studi umanistici hanno sempre meno spazio, assumono il ruolo, consapevole o meno, di agenti coloniali.  

Invece, per quanto riguarda la concezione conservativa e cimiteriale della storia, mostrarne l’articolazione genealogica sarebbe una operazione abbastanza lunga e complessa, ma, in questa sede, si vuole mostrare uno dei veicoli questa concezione: la scuola. È sembrato interessante, scorrendo le pagine dei social, i commenti e le condivisioni gli articoli riguardanti la querelle attorno alle statue, come gli studi compiuti dalle persone, non tanto la loro appartenenza ideologica o politica, determini il loro atteggiamento nei confronti di questi fenomeni. Ritorna Bernardo di Chartres: la litania del nostro essere esclusivamente ancora nani sulle spalle di giganti, l’importanza della dipendenza nei confronti della storia è uno dei leitmotiv dell’intero percorso di chi fa studi classici. In quest’ottica chi ha preceduto è in ogni caso meglio di noi, ha ancora molto da dire e deve essere la nostra guida per poter andare avanti, quindi ponendoci in un rapporto di dipendenza. Sembra quasi, infatti, che la storiografia si costituisca esclusivamente come la figura di uno scrittore o una scrittrice di epitaffi che vaga nella notte in un cimitero.

“Who controls the past controls the future. Who controls the present controls the past”, si leggeva in 1984; ma non si tratta solo, come nel romanzo di Orwell di manipolare il contenuto della storia, quanto di compromettere la struttura gnoseologica e le modalità con cui essa si costruisce e riproduce. Basti pensare a come si definisca quella in cui viviamo l’epoca della fine della storia nella quale niente può più succedere e dove, richiamando il venerabile Jorge del Nome della rosa, la conoscenza storica deve essere solo custodita e preservata. 

Origine ed evento

Per restituire il potenziale dialettico, politico, della storia, si potrebbe richiamare il Walter Benjamin della premessa gnoseologica a L’origine del dramma barocco tedesco. Per il filosofo tedesco,l’origine – e quindi la storia – non si determina mai a partire dal passato, ma a partire dalla sua articolazione a partire dal fenomeno originario che ha dato inizio alla sua articolazione. Non si dà mai, infatti, una staticità delle idee, ma una sua dinamica. Per origine, infatti, scrive il filosofo, «non si intende il divenire di ciò che scaturisce, bensì al contrario ciò che scaturisce dal divenire e dal trapassare. L’origine sta nel flusso del divenire come un vortice, e trascina dentro il suo ritmo il materiale della propria nascita»[2].

L’articolazione dei fatti storici, si costituisce all’interno di un costante rapporto dialettico tra ieri, tra il fattuale e gli effetti che questo fenomeno ha avuto sulla realtà nella quale viviamo. Entro questa dialettica si inserisce la risemantizzazione dei fatti storici. Il loro darsi in reticoli che mai si mediano tra di loro, ma che si ricompongono continuamente in base ai rapporti di potere vigenti e all’emergere di nuove soggettività. È contro questa ricomposizione dialettica che si scagliano i sacerdoti della storia, in quanto fa sì che l’oggetto dei loro studi sfugga dalle loro mani. 

È proprio all’evento che scombina i piani della storia conservativa che ci si riferisce quando si parla di ricomposizione dei nessi storici. La statua di Coulson – e speriamo un giorno anche quella di Carlo Felice a Cagliari – è stata testimone di un evento che ha trasformato radicalmente i nessi storici che la determinavano. Da simbolo di oppressione, di colonialismo e di segregazione, a un simbolo di rivalsa per gli oppressi e le oppresse e di una riscossa delle parti marginalizzate della società contro ogni tipo di dominio. 


[1] Friedrich Nietzsche, Nutzen und Nachtheil der Historie für das Leben, Fritesch Verlag, Leipzig, 1874 [= Sull’utilità e il danno della storia per la vita, trad. it. a cura di Sossio Giametta, Adelphi, Milano, 2016, ebook]

[2] Walter Benjamin, Ursprung des deutschen Trauerspiels, Rowohlt, Berlin, 1928 [= Il dramma barocco tedesco, a cura di Enrico Filippini, Einaudi, Torino, 1991, ebook]


Cristian Perra è studente presso il corso di laurea in Scienze storiche e filosofiche presso l’Università degli studi di Sassari. Militante e attivista politico in campo antagonista e indipendentista. Bibliofilo incallito. Si occupa delle attività culturali di Su Tzirculu a Cagliari. I suoi interessi di studi vertono sulla Teoria critica della società, in particolare l’esperienza filosofica di Theodor W. Adorno, sulla genealogia e sulla storia critica del mito.

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