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Sa vida pro sa pàtria? I sardi, l’Italia e l’occupazione dell’Afghanistan

di Andria Pili

Foto: difesa.it

Nelle scorse settimane, la presa di Kabul da parte dei Talebani, con la repentina fine delle istituzioni instaurate sotto le baionette occidentali, a solo un mese dal ritiro delle truppe statunitensi [1], ha mostrato il fallimento di un intervento ventennale, riaprendo un dibattito sull’opportunità di un’operazione molto cara in termini di denaro e di vite umane. Tale discussione è giunta anche sulla stampa isolana: l’Afghanistan, infatti, è il Paese in cui è morta la maggior parte dei soldati sardi all’estero dalla fine della Seconda Guerra Mondiale – ben cinque su nove totali – caduti tra il 2009 e il 2012 entro la missione NATO [2] volta ufficialmente a sostenere lo Stato afghano nel garantire la sicurezza interna e l’addestramento di forze armate autoctone. Un tributo definito esplicitamente “inutile” [3]; tuttavia, sono assenti sia una riflessione critica riguardo le ragioni sbagliate di quella guerra, sia un pensiero centrato sulla Sardegna, al di fuori del ricordo per i caduti o del richiamo alla periodica presenza della Brigata Sassari in quei territori, il cui “lavoro ora rischia di essere spazzato via” [4].

Alcuni esempi. Mario Sechi [5], nel suo editoriale sull’Unione Sarda del 17 agosto, oltre a lamentarsi delle modalità del ritiro USA, del discorso di Biden e del declino dell’Occidente, si appella ai “figli di Sardegna” morti durante la missione in cui sono “sventolate” le parole “democrazia” e “libertà”, concludendo con il motto della Sassari “Forza Paris”. Il giorno seguente, sullo stesso quotidiano, Carlo Figari [6] nel suo editoriale si lamenta per il trionfo del “oscurantismo fondamentalista” che terrà in “ostaggio” gli afghani e dello “scenario catastrofico” per cui l’Europa sarà chiamata a farsi carico di “una nuova ondata di migranti”; inoltre, pensa alla “amarezza” dei soldati sassarini per questo triste epilogo, per i “rischi” e i “sacrifici” compiuti invano, lungo “il gran lavoro svolto”, decidendo di mettere in loro bocca la seguente frase “Siamo andati a portare la pace e a fare il nostro dovere”. Il 19 agosto, sempre sull’Unione Sarda, compare un’intervista all’ex ministro della Difesa, il sardo Arturo Parisi [7], il quale afferma che “non si può trascurare il contributo dei sassarini (…) La Brigata è sempre stata in prima linea, si è sempre distinta per le sue capacità operative, all’altezza della sua storia gloriosa”; quelli che, per l’intervistatore Massimiliano Rais, sono “eroi che non possono essere dimenticati”, per Parisi “in quella area del mondo, tanto martoriata, hanno dato esecuzione ad ordini impartiti in nome della Repubblica”.

In questo piccolo spaccato sulla stampa mainstream isolana è costante un richiamo alla partecipazione dei sardi alla Grande Guerra, dunque alla Brigata Sassari come simbolo del dovere compiuto e dell’obbedienza – ieri e oggi – verso l’Italia, la cui causa è quella della pace e dei valori occidentali. Si tratta di una retorica ostacolante ogni riflessione critica sulla nostra condizione subalterna: entro i confini della critica all’intervento militare non si contempla, per un sardo, la possibilità di contestare l’identificazione dei propri interessi collettivi con quelli dello Stato italiano. La questione dell’occupazione militare della Sardegna è tenuta fuori dal dibattito dominante, malgrado la presenza sul nostro territorio dei due poligoni militari più grandi dello Stato sia ritenuta necessaria e irrinunciabile proprio per l’addestramento finalizzato a missioni come quella afghana. Tale mancanza impedisce di interrogarsi a proposito degli interessi che hanno guidato la partecipazione italiana alla guerra in Afghanistan.

Quali sono, dunque, questi interessi? Che cosa significa, in concreto, questo “interesse nazionale supremo” che rende plausibili lo sfruttamento della Sardegna come base addestrativa e l’impegno, sino alla morte, dei soldati sardi in missione “di pace”?

Militarismo italiano e colonialismo interno

L’intervento italiano in Afghanistan si colloca entro un nuovo assetto strategico della Difesa italiana, il cui obiettivo non è più la difesa dei confini ma la protezione della sicurezza italiana fuori dal territorio statale, entro il quadro dell’Unione Europea e della NATO. Protagonista di questa fase dovrà essere un Esercito di volontari professionisti. Proprio nel 2001, poco prima del conflitto, il ministro della Difesa del governo Amato, Sergio Mattarella [8], teorizzò la fase nuova delle Forze Armate, “nuove forze per un nuovo secolo”: è necessario non solo modernizzare l’Esercito, riducendo il divario tecnologico con i Paesi alleati, ma anche cambiarne l’orientamento dalla tutela della sovranità nazionale contro potenziali invasioni esterne a una difesa avanzata che contribuisca alla stabilità internazionale, allargando la “area di sicurezza, democrazia e pace” nell’ambito di missioni internazionali, proiettate fuori dai confini dell’Alleanza Atlantica. In un’intervista a Repubblica dirà: «Le Forze armate del 2000 guardano all’estero. L’attenzione si focalizza sulle missioni di pace in territorio straniero. Sono nate nuove esigenze alle quali solo un corpo formato da professionisti e volontari può rispondere (…) La scelta strategica di fondo di un’ampia collaborazione internazionale nel settore della difesa, con particolare sostegno e partecipazione a ricerca e programmi europei, si unisce all’opportunità di utilizzare i risultati e le ricadute della ricerca civile-commerciale (tecnologie duali), assai significativi in campi come le comunicazioni e lo spazio”. Ricapitolando: impegno all’estero e alta tecnologia militare.

Qual è il ruolo della nostra isola entro questo nuovo assetto? Quello di una terra di sfruttamento per il complesso militare-industriale [9]. Da diverso tempo la Sardegna non teme più le incursioni barbaresche; a livello internazionale è vulnerabile soltanto in quanto parte subalterna dello Stato e della Nato, per l’importanza militare-strategica che ricopre per interessi altrui e volontà non proprie. L’irrilevanza dell’opinione dei sardi riguardo l’impegno militare in Afghanistan non impedisce di notare come esso, dopo l’ennesima morte di un soldato, fosse divenuto tanto impopolare da spingere, il 19 gennaio 2011, un Consiglio Regionale a maggioranza di centrodestra ad approvare all’unanimità un ordine del giorno [10] nel quale si chiedeva il ritiro dall’Afghanistan di una “presenza militare (…) che il popolo sardo ripudia”.

I poligoni militari, dunque, non svolgono alcuna funzione per la difesa e la sicurezza dei sardi ma solo per le esigenze di addestramento delle Forze Armate italiane e NATO. Ogni ministro della difesa italiano, di ogni orientamento politico, ha ritenuto le basi di Quirra e di Teulada – le più grandi dello Stato – come irrinunciabili per le missioni all’estero. Inoltre, in essi, l’industria bellica pubblica e privata ha compiuto la sperimentazione di nuove tecnologie per armamenti all’avanguardia. Proprio per questo, il conflitto in Afghanistan è particolarmente legato alla Sardegna in quanto – a differenza dell’Iraq dove erano presenti diverse imprese italiane oltre che l’ENI – è evidente l’interesse in esso del complesso militare-industriale italiano di cui, la nostra isola è importante fulcro. La guerra afgana è stata una notevole opportunità per il settore dell’alta tecnologia per la sicurezza. In alcuni bilanci consolidati di Finmeccanica [11] (2010-2011-2012-2013) si dà atto del grande aumento di domanda di veicoli terrestri dovuto alle guerre in Iraq e in Afghanistan; queste hanno consentito di firmare dei contratti con il ministero della Difesa per realizzare dei grandi sistemi integrati per la difesa e sicurezza, al fine di proteggere le basi operative dell’Esercito Italiano in territorio afghano. Tali sistemi hanno contribuito ai ricavi della partecipata Selex ES. Secondo l’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma [12], Leonardo-Finmeccanica dal 2001 al 2020 ha aumentato i suoi ricavi militari da 6 a 9.8 miliardi di dollari. Alcuni esempi: nel 2007 la Alenia si aggiudicò la gara per la fornitura di aerei da trasporto tattico C-27J all’Esercito statunitense, che li utilizzerà poi in Afghanistan, come le forze armate italiane [13] e, in seguito, anche un contratto per la manutenzione di 20 aerei da trasporto tattico G-222 in dotazione alle forze aeree dell’Afghanistan, sebbene poi non rinnovato [14]; la Selex, oggi della Leonardo, stipulò dei contratti con il Ministero della Difesa per la sicurezza delle postazioni in Afghanistan [15]. La Selex e l’Alenia vengono citate nella strategia di specializzazione intelligente della Regione Sardegna (2015) al fine di accreditare l’isola come sede di un Distretto Aerospaziale, dato che nel Poligono Interforze Salto di Quirra c’è già un’alta concentrazione di sperimentazione e addestramento sistemi avionici e spaziali dell’industria italiana [16].

Inoltre, tra le esercitazioni militari che si sono svolte in Sardegna la più importante per la guerra afghana è stata, probabilmente, la Trial Imperial Hammer [17] (2008), il cui obiettivo era di sperimentare l’alta tecnologia per il contrasto al terrorismo. Svoltasi tra Decimomannu e Quirra, ha posto in azione il 41°Reggimento dell’Aeronautica con i suoi droni Raven – utilizzati per l’arresto di 11 insorti ad Herat nel 2012 [18] – e i caccia Tornado del 6° Stormo [19], inviati in Afghanistan dal novembre dello stesso anno al 2009. Inoltre, furono provati anche i monoala Strix della Alpi Aviation [20], usati poi in Afghanistan con compiti di sorveglianza, in grado di riprendere dalla propria telecamera sino a 12 km di distanza. Altro esempio è la Star Vega 2011 [21] – tenutasi a Decimomannu – in cui entrarono in scena gli AMX Acol del 51° Stormo dell’Aeronautica Militare usati nei bombardamenti contro la resistenza talebana nei distretti del Gulistan e di Bakwa nel luglio 2012 [22].

Essere per l’Italia: l’Afghanistan e l’ideologia militarista italiana in Sardegna

I sardi morti in Afghanistan sono stati il 9% del totale (5/53). Una percentuale abnorme se consideriamo che i sardi sono soltanto il 2.8% della popolazione statale. Guardando al divario economico strutturale italiano nel suo complesso, notiamo come il 64% (34/53) dei caduti provenisse dai Sud d’Italia (Mezzogiorno e Isole), mentre solo il 7.5% (4/53) dalle regioni del Nord-Ovest (Piemonte, Lombardia, Liguria), centro storico del capitalismo italiano. La sproporzione è evidente dato che nelle periferie meridionali risiede solo il 35% della popolazione italiana, mentre nelle tre maggiori regioni del Nord-Ovest, il 27%. I dati non fanno che riflettere quelli ampiamente conosciuti a proposito dell’arruolamento. In un recente rapporto dell’Ufficio Valutazione Impatto [23] del Senato (2018) si scrive che l’Esercito professionale svolge un ruolo da “ammortizzatore sociale” nel Meridione: “sempre più giovani provenienti dalle aree del Paese a maggiore tasso di disoccupazione. (…) nel 2012 l’84% dei volontari in ferma breve nell’Esercito proveniva dall’Italia meridionale e dalle isole”.

Non è necessario avere grandi capacità sociologiche per comprendere come il sottosviluppo economico delle periferie dello Stato italiano sia la principale spinta all’arruolamento nel nuovo Esercito di professionisti; la partecipazione alle missioni costituisce un’opportunità di avanzamento di carriera, oltre che una fonte di guadagno. Questo sarebbe più che sufficiente per smentire ogni retorica sui poveri soldati idealisti o desiderosi di morire per la Patria. A meno che non si voglia credere, come un tempo, che sardi e meridionali siano razzialmente portati alla guerra, essi sono semplicemente umani: se avessero opportunità più allettanti dell’arruolamento, le avrebbero colte di sicuro. Probabilmente questo sarebbe stato il caso di Matteo Mureddu [24] e Luca Sanna [25]. Il primo, di Solarussa, figlio di un allevatore di pecore, è morto a 26 anni nel settembre 2009 a bordo un Lince in un convoglio sulla via dell’aeroporto di Kabul, ucciso dall’esplosione di una auto guidata da un kamikaze; il secondo, di Samugheo, figlio di un meccanico, è morto a 33 anni nel gennaio 2011, ucciso da un infiltrato talebano nell’esercito afghano. Luca Sanna, secondo quando ricostruito giornalisticamente, avrebbe esplicitamente affermato di essersi arruolato nel 2003 per sfuggire a una realtà di disoccupazione [26].

In Sardegna, all’elemento socioeconomico si aggiunge quello ideologico a giustificazione della ingente presenza militare sul territorio e a copertura idealistica dell’arruolamento come dei morti in contesti di guerra: il perno di questa ideologia militarista e nazionalista italiana è la Brigata Sassari e il suo mito. Nell’isola – inserita nello Stato italiano in condizioni di subalternità politica, economica e culturale – l’ideologia militarista è parte di un discorso coloniale volto a ribadire la sua necessaria appartenenza all’Italia; uno strumento teorico con cui lo Stato ha costruito la propria legittimazione cercando di ottenere il consenso degli stessi sardi, i quali hanno interiorizzato un’identità subalterna (Pili 2019). Secondo questa narrazione, il dovere di fedeltà all’Italia contraddistingue la Sardegna rispetto alle altre regioni, tanto che i suoi giovani sembrano voler impazientemente immolarsi. Un secolo fa, come oggi, i sardi sembrano presi dal complesso di dover meritare la propria appartenenza al corpo della cittadinanza italiana. Fu Attilio Deffenu (1918), in una relazione di propaganda militare, ad affermare la necessità di convincere i soldati sardi che il loro sacrificio avrebbe portato dei benefici nell’isola: «Il massimo risultato potrà ottenersi dal soldato sardo nello sforzo contro il nemico quando egli sarà animato dalla fede sicura che, muovendo all’assalto impetuoso contro lo straniero (…) egli va incontro al migliore destino della sua isola e della sua gente». Italianizzazione come emancipazione: questa, in sintesi, a mio parere, è l’ideologia del tributo di sangue dei sassarini, la massima espressione del nazionalismo di Stato in Sardegna.

La rifondazione della Brigata Sassari, tra 1988 e 1989, era strettamente correlata alla necessità di rilanciare l’immagine dell’Esercito in Sardegna – dopo la dura contestazione delle servitù militari che era stata fatta dal Presidente della Regione Mario Melis [27] – e affrontare la crisi di legittimità dei partiti di sistema, di fronte alla crescita del neosardismo e al fallimento dei Piani di Rinascita. La ricostituzione effettiva avvenne nell’aprile 1989, salutata dalla stampa isolana non solo come il «simbolo di una unità» che affonda le proprie radici nelle «caratteristiche di un’etnia» [28] ma anche come un «argine per la pace» [29]. Le alte cariche politiche e militari sottolinearono il suo carattere meramente difensivo: il generale Malorgio spiegò come si trattasse di effettuare una «razionalizzazione delle forze esistenti nell’isola», senza comportare oneri aggiuntivi e confermando l’importanza della Sardegna nel Mediterraneo e la necessità della sua difesa contro non meglio precisati attacchi [30]. La Brigata Sassari è stata concepita come «elemento coagulante» [31] di reparti eterogenei cui è stato dato comando unitario sardo. Lo Stato Maggiore dell’Esercito spiegherà: «La Regione Militare della Sardegna non poteva non avere (…) una sua forza per interventi particolari (…) esigenza strategica (…) in un mondo che si apre sempre più alla distensione e alla pace» [32]. Con la ricostituzione della Brigata Sassari si rinnova la fedeltà dei sardi all’Italia, il suo legame con lo Stato come adesione ad un nuovo progetto generale di “Rinascita”, in cui le Forze Armate dovrebbero svolgere un ruolo importante: “Nella storia della Brigata Sassari, ricca di fatti costruiti sull’eroismo, di sacrifici, di slanci umani che attengono alle caratteristiche dei sardi (…) cementarono le forti caratteristiche di una etnia (…) simbolo che ha una carica di intenso amore per la Sardegna e per la Patria(…) ridando ai sardi la loro bandiera, quel graffito di dolore e di speranza dal quale è nata la Rinascita della Sardegna (…) ha ridato ai sardi il loro vessillo di gloria e di speranza» [in nome di un] rinnovato nuovo progetto alto e civile con la Sardegna» [33].

La partecipazione sarda alla guerra in Afghanistan non ha fatto altro che confermare la funzione di questa ideologia militarista. Benché soltanto un sardo morto in Afghanistan fosse di un suo reggimento storico – Gianni Gallo [34], per giunta morto per un malore e non in un’azione – e l’unico caduto della Brigata a causa di un’azione militare fosse non sardo ma siciliano – Giuseppe La Rosa [35] – non appartenente ai due reggimenti storici di fanteria ma a un reggimento di bersaglieri aggregato a essi, la Brigata Sassari è sempre stata presente nei cerimoniali per questi morti, così come nella retorica giornalistica, come simbolo dei sardi in guerra [36]. Ciò è avvenuto per la sua importanza simbolica e il messaggio cui rimanda: il tributo di sangue versato dai sardi per l’Italia. Persino la nuova caserma della Brigata a Pratosardo, località di Nuoro, è stata recentemente intitolata a un soldato caduto in Afghanistan, Mauro Gigli [37], il quale non era un fante della Sassari ma un alpino della Taurinense. All’inaugurazione della caserma, il Generale Graziano pronunciò queste parole significative del ruolo simbolico della Brigata Sassari a giustificazione dell’occupazione militare: “L’apertura di questa nuova caserma dell’Esercito rappresenta un ulteriore rafforzamento di quella relazione speciale che esiste tra la gente di Sardegna e i Dimonios della Sassari, una Brigata che è un’eccellenza delle Forze Armate, ed è nostro interesse che questa particolare connessione, dalle profonde e consolidate radici storiche ed identitarie, venga preservata” [38].

Per notare la persistenza di questo discorso è interessante dare uno sguardo al libro “Sotto il cielo di Herat. La Brigata Sassari in Afghanistan” di Pier Luigi Piredda ed Elisabetta Loi (2013). Vi sono delle significative introduzioni di Ugo Cappellacci, allora Presidente della Regione, e di Arturo Parisi, sardo ministro della difesa per il governo Prodi dal 2006 al 2008. Il primo scrive che la Brigata Sassari del Terzo millennio segue il cammino dei “ragazzi del ’99” e opera per “veicolare i valori di libertà e democrazia”; per il secondo, invece: “…la nostra Sardegna (…) assieme alla nostra Brigata (…) in quella terra è stata chiamata in nome dell’Italia”, un “caso tutto speciale” quello della Brigata Sassari che, per collocazione e composizione, ha come “riferimento” una “concreta comunità regionale (…) come nel 1915-18 quando dalle trincee del Carso si scoprirono sardi, scoprendo insieme che (…) appartenevano a una terra comune”. In un capitolo del libro, viene intervistato il Generale Portolano, all’epoca comandante della Brigata Sassari e della missione ISAF a Camp Arena (Herat), che dice: “i miei sassarini hanno lavorato per raggiungere un obiettivo comune, hanno sofferto e stanno soffrendo in condizioni disagiate, in territori difficili, ma da loro non ho mai sentito una lamentela, una critica. Che orgoglio, la gente sarda, proprio come quegli eroi indimenticabili che combatterono sul Piave nel 1915-18 ricoprendosi di gloria, scrivendo pagine di storia dell’Italia e tracciando quel percorso che noi stiamo continuando a seguire”. In un capitolo dedicato agli “Eroi in tempo di pace” in cui si ricordano tutti i sardi morti nelle missioni, si scrive: “tutti eroi in tempo di pace, morti in terre lontane dov’erano andati a portare fratellanza, comprensione e cercare di abbattere le barriere dell’odio”. In un capitolo significativamente intitolato “Sassarini del terzo millennio”, troviamo questi passaggi: “i sassarini hanno dimostrato di meritare ampiamente il titolo di Brigata d’élite dell’esercito italiano (…). Orgogliosi discendenti di quei sardi che nella Prima guerra mondiale si coprirono di gloria combattendo sul Carso (…) conquistando, con sprezzo del pericolo, punti strategici che avevano poi permesso all’Italia di vincere la Prima guerra mondiale”. Il libro si chiude con appendice di Giuliano Chirra: una ricostruzione storica propagandistica della Brigata Sassari, priva di senso critico e ampiamente selettiva di episodi in linea con la narrazione sciovinista dominante.

Notiamo come il richiamo alla Brigata Sassari storica è focalizzato sull’obbedienza dei sardi, la loro capacità di impegnarsi e sacrificarsi in nome dell’Italia. Si tratta di una Brigata Sassari mitica frutto dell’egemonizzazione della memoria della Grande Guerra da parte del nazionalismo di Stato. Gli storici (Fois 1981, 2017) hanno chiarito come questo mito si sia consolidato a partire dal fascismo, rimuovendo ogni elemento sovversivo di quegli eventi e strumentalizzando un certo sentimento sardista, svuotato di ogni rivendicazione emancipativa. Per il fascismo, infatti, la funzione della Sardegna era quella di sentinella avanzata dell’italianità nel Mediterraneo (Atzeni 2005, Pavolini 1937). Questa memoria avrebbe potuto essere differente se il sardismo antifascista non fosse stato costretto al silenzio. Per comprenderlo basta leggere gli scritti di Emilio Lussu e Camillo Bellieni – le figure più note della Brigata e del sardismo politico – contrari alla retorica militarista. Il sardismo, infatti, cercò di utilizzarne il capitale simbolico per una rivendicazione di autonomia – non separatista – contro il centralismo statale, rifiutando il mito sciovinista. Lussu aveva definito la Brigata Sassari non solo come un “deposito rivoluzionario” ma anche come una scuola di antimilitarismo e di antifascismo [39], in cui la gerarchia imposta dai gradi militari era rifiutata in favore di quella conquistata sul campo. Camillo Bellieni (1985 [1919, 1920]) aveva ricordato come un elemento caratteristico della prima organizzazione dei combattenti fosse “l’odio alla guerra ed all’imperialismo”; inoltre, aveva respinto la “retorica bolsa dei bollettini ufficiali di guerra” e con essa l’idea razzista delle “selvagge pulsioni brulicanti nel nostro sangue”, in uno scritto in cui aveva chiesto lo scioglimento della Brigata, contro il suo utilizzo per operazioni di ordine pubblico. Oltre a ciò, il mito della cieca obbedienza viene smontato dalle memorie dei soldati che ricordano episodi di ribellione [40], insofferenza verso l’autorità [41] e diserzioni, pur poche (Fois 1981). Inoltre, non è certo irrilevante ricordare come Emilio Lussu, durante i fatti di Pratobello nel 1969 (Menneas 2019) si schierò con la comunità di Orgosolo, affermando come la volontà di impiantare un poligono permanente fosse un atto coloniale.

Altra grande rimozione è la vicenda della Divisione Sassari impegnata, durante la Seconda Guerra Mondiale (Fatutta, Vacca 1994), nell’occupazione della Iugoslavia in nome della guerra fascista, durante la quale si rese anche responsabile di crimini ingiustificabili e incompatibile con il mito del soldato sardo coraggioso ed eroico [42].

La Brigata Sassari è al centro della narrazione nazionalista statale. Il mito degli storici reggimenti etnici che presero parte alla Grande Guerra e l’esaltazione dell’attuale impegno dei sassarini nelle cosiddette missioni di pace, mistificano il rapporto tra la nostra isola e lo Stato italiano. Per questo è così presente anche negli articoli attuali sulla presenza dei sardi in Afghanistan. Ribaltare il mito della Brigata è necessario al fine di svelare semplicemente la realtà dei fatti: il legame forzato e gerarchico tra Sardegna e Italia, dove la prima è posta a servizio degli interessi della seconda. Ripensando ai dati iniziali, un’affinità con la Grande Guerra possiamo comunque trovarla nell’analoga funzione dei Sud dello Stato italiano; come ha scritto Mario Isnenghi (1973) sui soldati meridionali nel 1915-18: “un naturale serbatoio di forza militare della nazione, politicamente controllabile».

Conclusioni. Morti per cosa?

Morti per la Pace? I cable wikileaks [43] ci hanno permesso di conoscere diverse battaglie cui prese parte la Brigata Sassari. Ad esempio, sappiamo per certo che, tra la fine 2008 e l’inizio 2009 essa a Bala Murghab compì un’operazione offensiva, svoltasi congiuntamente con l’esercito statunitense, contro gli avamposti strategici degli «insorti». La base italiana “Tobruk” nel distretto di Bala Baluk è stata centrale per l’offensiva italiana contro gli insorti del 2009 e perciò sarà oggetto di diversi attacchi anche mortali. Tuttavia, si tratta di un segreto di Pulcinella. Rimane comunque il quesito: per cosa sono morti i sardi in Afghanistan? Innanzitutto, per gli interessi legati all’industria militare italiana.

Veri o finti sardi? Dobbiamo decostruire l’idea di una sardità monolitica, sia quando è chiamata in causa dalla Brigata Sassari, sia quando viene sventolata contro di essa. Esistono diversi modi di essere sardi, non tutti uguali sul piano etico come su quello politico. La Sardegna dei sassarini è tra i modi peggiori di essere sardi: non rappresentano una nostra essenza identitaria ma uno degli effetti peggiori della nostra subalternità politica, economica, ideologica. Un’idea di Sardegna funzionale all’Italia e dei sardi come razza guerriera e carne da macello (Pili 2019). Un esempio di come una presunta «identità sarda» possa essere posta a servizio degli interessi rappresentati dallo Stato italiano.

I cinque caduti sono stati inquadrati entro un discorso nazionalista italiano che pone al riparo da ogni riflessione politica critica. Questa non farebbe che confermare, per l’ennesima volta, la nostra posizione subalterna entro questo Stato. La loro consacrazione a santi laici dell’italianità della Sardegna finisce per negare loro una dimensione umana, con essa la loro appartenenza a un contesto sociale ed economico, in cui il militarismo agisce pesantemente non solo in termini di sfruttamento economico e territoriale ma anche a livello ideologico. Colonialismo interno, sottosviluppo economico e banale nazionalismo italiano non possono non aver inciso nella loro scelta di diventare militari professionisti. Emancipare il loro ricordo dal nazionalismo statale sarebbe anche un modo per restituirli realmente alla comunità sarda. Da concittadino di un soldato sardo caduto a Nassiriya, con il quale – malgrado una generazione di differenza e l’assenza di diretta conoscenza – ho avuto amici, conoscenze, luoghi vissuti in comune, ho piena coscienza di condividere, anche in senso ampio, la medesima appartenenza comunitaria che avrebbe potuto condurmi – per via di percorsi ed esperienze differenti – alla stessa scelta di vita.

Tuttavia, comprendere non significa giustificare: nella fase attuale, i militari sono sicuramente dei privilegiati rispetto ai lavoratori sardi, la cui morte sul lavoro non riceverà mai gli stessi onori, passando, anzi, in sordina e venendo presto dimenticata. Ultimo, il caso di Ignazio Sessini da Villacidro. Lo stesso vale per la condizione dei giovani sardi in generale, da cui chi si arruola cerca probabilmente di sfuggire. Né la partecipazione volontaria e attiva a una guerra imperialista può essere considerata giustificabile o un lavoro come tutti gli altri.

NOTE

1.https://www.state.gov/wp-content/uploads/2020/02/Agreement-For-Bringing-Peace-to-Afghanistan-02.29.20.pdf

2. https://www.nato.int/cps/en/natohq/topics_69366.htm

3.https://www.unionesarda.it/news/mondo/cinque-morti-e-numerosi-feriti-il-tributo-pagato-dai-sardi-in-afghanistan-ruuwgmgw

4.https://www.lanuovasardegna.it/regione/2021/08/18/news/il-lungo-lavoro-della-brigata-sassari-spazzato-via-dai-talebani-1.40609753. Si veda anche l’articolo “Gli eroi sardi che non sono più tornati”, di Massimiliano Rais, Unione Sarda, 19 agosto 2021.

5. Mario Sechi, “Ritirata senza onore”, Unione Sarda, 17 agosto 2021.

6. http://www.carlofigari.it/lafghanistan-ritorna-al-passato/

7. https://www .unionesarda.it/news/mondo/parisi-talebani-al-potere-colpa-delloccidente-d5li314j.

8. Sergio Mattarella, “Nuove forze per un nuovo secolo”, Libro Bianco Ministero della Difesa, 31 marzo 2001: https://www.difesa.it/Approfondimenti/ArchivioApprofondimenti/Pagine/2001-nuove-forze.aspx

Nota aggiuntiva allo stato di previsione per la Difesa 2001

https://www.difesa.it/Content/Pagine/Notaaggiuntiva.aspx
https://ricerca.gelocal.it/lanuovasardegna/archivio/lanuovasardegna/2000/10/25/SA102.html
https://ricerca.gelocal.it/lanuovasardegna/archivio/lanuovasardegna/2000/10/26/SL200.html

9. https://jacobinitalia.it/questione-sarda-e-complesso-militare-industriale/

10. http://www3.consregsardegna.it/XIVLegislatura/Ordini%20del%20giorn/odg051.asp

11. https://www.leonardocompany.com/it/investors/results-and-reports.

12. https://ilmanifesto.it/gli-affari-armati-dietro-alla-guerra-permanente/

13. https://www.corriere.it/Primo_Piano/Economia/2007/06_Giugno/14/finmeccanica_aerei_usa.html

https://www.repubblica.it/2007/06/sezioni/economia/finmeccanica/finmeccanica/finmeccanica.html
https://web.archive.org/web/20120112203427/http://www.flightglobal.com/news/articles/c-27j-spartan-makes-combat-debut-in-afghanistan-360585/
https://web.archive.org/web/20141218185139/http://www.aeronautica.difesa.it/News/Pagine/20141218_Afghanistan-aereo-C27J-JEDI-rientra-in-Italia.aspx
https://web.archive.org/web/20120322015649/http://www.aviationweek.com/aw/generic/story.jsp?id=news%2FC27013009.xml&headline=Italian%20C-27Js%20Complete%20Afghanistan%20Ops&channel=defense

14. https://www.reuters.com/article/afghanistan-usa-alenia-idCNL1E9C3ES020130104

15.https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/01/31/finmeccanica-rilancia-industria-la-liguria-ci.html

16. https://www.sardegnaprogrammazione.it/documenti/35_84_20151002122425.pdf.

17. Trial Imperial Hammer 2008: https://www.nato.int/docu/update/2008/09-september/e0901a.html

http://www1.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/2008/10/16/Cronaca/DIFESA-CONCLUSA-LESERCITAZIONE-NATO-TRIAL-IMPERIAL-HAMMER-2_184623.php
https://www.corriere.it/scienze/08_ottobre_11/miniali_per_battere_terrorismo_a7a1377c-9741-11dd-908f-00144f02aabc.shtml
https://consdetroit.esteri.it/consolato_detroit/it/la_comunicazione/dal_consolato/gear.html

18.https://www.difesa.it/OperazioniMilitari/op_int_concluse/ISAF/notizie_teatro/Pagine/Fermatiundiciinsortimilitaliani.aspx

19. http://www.aeronautica.difesa.it/organizzazione/REPARTI/divolo/Pagine/6Stormo.aspx

20.https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Mondo/2008/10/high-tech-ricetta-nato-contro-terrorismo_PRN.shtml

21. Star Vega 2010: http://www.aeronautica.difesa.it/comunicazione/notizie/archivio/2010/Pagine/ESERCITAZIONEVEGA2010.aspx

22.http://web.archive.org/web/20160622155102/http://www.lettera22.it/showart.php?id=12267&rubrica=64

23. Francesco Gilioli, Lorenzo Carnimeo, Ufficio Valutazione Impatto, “In difesa della Patria. Dai soldati di leva ai militari professionisti: come sta funzionando il nuovo modello delle Forze armate italiane?”, Senato della Repubblica, Luglio 2018. https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DOSSIER/0/1077449/index.html

24. https://ricerca.gelocal.it/lanuovasardegna/archivio/lanuovasardegna/2009/09/18/SF1PO_SF101.html

25. https://ricerca.gelocal.it/lanuovasardegna/archivio/lanuovasardegna/2011/01/20/SF2PO_SF201.html

26. https://ricerca.gelocal.it/lanuovasardegna/archivio/lanuovasardegna/2011/01/19/SF1PO_SF102.html.

27. Tra il 1986 e il 1987 si svolsero i lavori della commissione paritetica Stato-Regione sui gravami militari. Qui sono ricostruite le tappe storiche degli accordi in questione, con i documenti allegati: https://www.regione.sardegna.it/j/v/25?s=45387&v=2&c=3696&t=1.

28. M.Brigaglia, «Quel pezzo di storia che ritorna», Unione Sarda, 28 agosto 1988

29. V.Serra, «Ricostituita per ragioni di difesa nel Mar Mediterraneo ora la Brigata Sassari sarà un argine per la pace», Unione Sarda, 9 aprile 1989

30. Ibidem

31. Ibidem

32. Informazione promozionale dello Stato Maggiore dell’Esercito, Unione Sarda, 8 aprile 1989

33. Ibidem

34. https://ricerca.gelocal.it/lanuovasardegna/archivio/lanuovasardegna/2012/01/14/SL1SD_SL101.html

35. https://www.huffingtonpost.it/2013/06/08/giuseppe-la-rosa-morto-in-afghanistan_n_3407337.html

36.  https://necrologie.lanuovasardegna.gelocal.it/news/6187

37.http://www.esercito.difesa.it/comunicazione/pagine/caserma-intitolata-alla-movm-mauro-gigli_181213.aspx

38.https://www.difesa.it/SMD_/CaSMD/Eventi/Pagine/Generale_Graziano_inaugura_Caserma_Prato_Sardo.aspx

39. Si vedano i lavori di Giuseppina Fois (1981, 2015).

40. Si veda la testimonianza di Salvatore Ollargiu nel libro di Giuseppina Fois (1981)

41. Emilio Lussu in La Brigata Sassari e il Partito Sardo d’Azione, in “Il Ponte”, VIII, n. 9-10, settembre-ottobre 1951 raccontò come “poco mancò che la brigata si ammutinasse” quando gli fu chiesto di eseguire “Cunservet Deus su Re”.

42. Si vedano le testimonianze dei reduci Gesuino Cauli, Lazzaro Piras, Antonio Cappai nel libro di Fatutta e Vacca (1994), pp.130-136

43. https://espresso.repubblica.it/internazionale/2010/01/04/news/afghanistan-la-battaglia-censurata-a-meta-1.17643

https://espresso.repubblica.it/internazionale/2015/10/15/news/afghanistan-i-talebani-conquistano-l-ex-base-italiana-1.234673

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Camillo Bellieni, “Sciogliete la Brigata Sassari”, lettera a Ivanoe Bonomi, pubblicata su La Voce, 11 aprile 1920 in Partito Sardo d’Azione e Repubblica Federale. Scritti 1919-1925, a cura di Luigi Nieddu, Gallizzi 1985, pp.188-190

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Giuseppina Fois, Storia della Brigata Sassari, Gallizzi 1981, Edizioni della Torre 2019

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Pier Luigi Piredda, Elisabetta Loi, Sotto il cielo di Herat. La Brigata Sassari in Afghanistan, Carlo Delfino 2013

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